I grassi e le calorie. «Con pochi grassi» non sempre significa con poche calorie.
È ora di sfatare il mito che “low fat is healthy” (basso contenuto di grassi è salutare). Il messaggio giunge dalla Harvard School of Public Health di Boston.
Il motivo? Decine di studi, molti dei quali condotti proprio presso questo prestigioso centro di ricerca, hanno mostrato che le diete a basso contenuto di grassi non sono migliori per la salute (e talvolta possono essere addirittura peggiori) di quelle a moderato o elevato contenuto di grassi. In altre parole, non sempre “più magro” equivale a migliore.
Può capitare infatti che, per sopperire alla riduzione dei grassi in certi prodotti, si aggiungano altri ingredienti come farina raffinata, zucchero o sale che possono rendere l’alimento complessivamente meno salutare. Inoltre, utilizzando il contenuto di grassi come unico o principale criterio di valutazione, alimenti salutari, come la frutta secca oleosa, potrebbero essere esclusi a favore di altri, che magari contengono meno grassi, ma non altrettanto buoni.
Per convincere il pubblico a rinunciare alla mania del “low fat“, i ricercatori di Boston sono ricorsi a delle ricette, più precisamente a ricette di muffin, tipici dolcetti americani, che sono state elaborate con il Culinary Institute of America (per chi le volesse provare, sono sul sito web della Harvard School of Public Health).
Ma cos’hanno di particolare? Per chiarirlo, basta confrontare uno di questi muffin (ai mirtilli) con la versione normale, e con quella a ridotto contenuto di grassi, reperibili nei coffee shop americani. Il nuovo muffin è grande circa la metà rispetto a quello normale, apporta meno di 1/3 delle calorie (130 anziché 450), ha ingredienti più salutari (farine in parte o totalmente integrali, meno zuccheri e meno sale), non è particolarmente “magro” (8 grammi di grassi anziché 15) ma contiene pochi acidi grassi saturi (1 grammo anziché 3,5).
Infatti, uno dei consigli che viene dai ricercatori americani è proprio quello di utilizzare, anche per le cotture in forno, gli oli vegetali ricchi di grassi “buoni”, come l’olio extravergine d’oliva. Questi muffin rappresentano una scelta assai più valida anche rispetto a quelli a “ridotto contenuto di grassi”, che forniscono lo stesso numero di calorie rispetto a quelli normali e, naturalmente, meno grassi, però più sale, più carboidrati e più zuccheri.
Ma, come sottolineano gli esperti americani: «Per la nostra salute, il tipo di grassi che si introducono conta più della loro quantità. E le diete ricche di carboidrati molto raffinati possono portare ad aumento di peso e ad un aumentato rischio di diabete di tipo 2 e di malattia cardiaca».
Il messaggio “non sempre pochi grassi rappresentano la scelta migliore” vale anche per perdere peso? I ricercatori di Boston l’hanno verificato in uno studio pubblicato su International Journal of Obesity and Related Metabolic Disorders, in cui hanno confrontato due regimi ipocalorici, uno “mediterraneo” con moderato apporto di grassi (35% delle calorie totali con olio d’oliva come prima fonte di grassi) e l’altro standard, a basso contenuto di grassi (20% delle calorie totali).
In primo luogo si è visto che l’abbandono del programma era molto più elevato tra chi seguiva la dieta standard; quanto ai risultati, tra chi aveva continuato le diete, dopo 12 mesi, la perdita di peso era simile (meno 4,8 Kg con la dieta mediterranea, meno 5 Kg con la dieta a basso contenuto di grassi), ma dopo 18 mesi con il regime mediterraneo si era mantenuto il calo già ottenuto, mentre chi seguiva il trattamento a basso contenuto di grassi aveva cominciato a recuperare peso e la bilancia segnava, in media, meno 2,9 Kg.
«Non ridurre eccessivamente i grassi nei regimi ipocalorici è importante – commenta Maria Grazia Carbonelli, direttore dell’Unità di dietologia e nutrizione dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma – sia per assicurare la presenza di acidi grassi essenziali che devono essere introdotti con la dieta perché l’organismo non è in grado di sintetizzarli, sia perché i grassi favoriscono l’assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E e K) e dei carotenoidi. Inoltre, i grassi rendono più appetibili gli alimenti, comprese verdure e ortaggi, fondamentali anche ai fini della sazietà. E l’appetibilità della dieta, come mostra lo studio, è un requisito importante per mantenerne l’adesione a lungo».
E che dire dei prodotti a ridotto contenuto di grassi: possono servire? «Dipende dal prodotto e dalla frequenza di consumo – risponde Carbonelli -. Possono essere utili se, come nel caso di latte e yogurt, il consumo è abituale e in una certa quantità. In ogni caso, prima di ricorrere a questi prodotti, conviene verificare in etichetta che la riduzione dei grassi sia effettivamente vantaggiosa, sia dal punto di vista calorico sia sotto il profilo nutrizionale. E conviene anche ricordare che per essere davvero utili questi prodotti vanno utilizzati in modo oculato nel programma dimagrante. Se invece si pensa che basti qualche alimento “low fat” per perdere peso, difficilmente si raggiungerà l’obiettivo».
Dosi giuste, ma senza privazioni
La quantità di grassi, (in percentuale sul totale delle calorie giornaliere) da prevedere nell’alimentazione, secondo le Linee guida INRAN, va dal 20-25% (adulti sedentari) fino al 35% (per chi fa molta attività fisica). Per un fabbisogno di 2100 kcal, quelle fornite dai grassi possono dunque andare da 420 a 700, (46-78 grammi); gli acidi grassi saturi non devono però essere più del 7-10% delle calorie totali (16- 23 grammi).
Consumi
Dilaga la mania del «low fat», ma non sempre è un buon criterio per scegliere i cibi
Regole
30%
La «riduzione» stabilita dalla legge
Questo è il «taglio» minimo dei grassi che la normativa impone ai prodotti che vogliano definirsi «a ridotto contenuto di grassi». Per essere «a basso contenuto di grassi» un alimento solido non deve contenerne più di 3 g per 100 g di prodotto, o più di 1,5 g ogni 100 ml per i liquidi. «Senza grassi» è il prodotto che non ne ha più di 0,5 g ogni 100 g o 100 ml.
Fonte: Corriere della Sera